4/03/2018 - Sempre più ditte si definiscono animaliste, espongono orgogliosamente in etichetta il marchio “prodotto finito non testato sugli animali”. Si fanno bandiera di questi valori per incrementare le vendite e mostrarsi belli e buoni agli occhi del consumatore..
In realtà, l'etichetta apposta sul prodotto non ha alcun valore (simbolo del coniglietto, scritta "cruelty-free", ecc.) perché si riferisce al prodotto finito (test vietati per legge), mentre il problema sono i test su animali per i singoli ingredienti che compongono il prodotto finito!
Una valutazione seria in questo senso è effettuata dalla non-profit "VIVO- comitato per un consumo consapevole" che valuta le aziende in base agli ingredienti utilizzati nei cosmetici.
Sottolineiamo che al momento - fino al 2013 - il test sugli animali di materie prime cosmetiche "nuove" è tutt'ora obbligatorio e che tutte le materie prime in commercio sono state nel corso degli anni testate sugli animali.
Un impegno serio che un'azienda che non vuole incentivare questo triste meccanismo è quello di scegliere ingredienti semplici e innocui (ad esempio tutti gli oli che utilizziamo che sono per uso alimentare e non necessitano test) oppure materie prime di vecchia data che non necessitano di nuove sperimentazioni.
Fortunatamente la comunità europea ha stabilito nel 2003 una legge a tutela degli animali e che proibisce i test cosmetici su di essi che verrà resa attuativa in italia nel 2013.
Prima della legge, ogni volta che un’azienda decideva di utilizzare un nuovo ingrediente per un cosmetico, era tenuta ad effettuare svariati tipi di test, in modo da identificare tre livelli di tossicità possibili: acuta, subacuta e cronica. I più comuni di questi sono l’LD50, il Draize test ed il test di cancerogernicità.
LD50 sta per “dose letale nel 50% dei casi”, e prevede la somministrazione di un prodotto all’animale finché la quantità non diviene tossica ed esso muore (in tempi variabili da ore a settimane). Il Draize test consiste nel testare il prodotto sulla cute o sugli occhi, osservando le possibili ustioni o reazioni allergiche. Il test di cancerogenicità prevede che l’animale (in genere un roditore) inali o ingerisca per diversi anni di fila una sostanza. Quindi viene ucciso e l’autopsia determina l’insorgenza del tumore.
In nessun caso vengono utilizzati anestetici, perché potrebbero modificare l’esito del test.
È stata provata più volte l’inefficienza di questi metodi: in campo cosmetico, infatti, la maggior parte dei prodotti utilizzati è poco o affatto tossica, e la morte dell’animale sopraggiunge per deterioramento degli organi causato dai test ripetuti e dalle massicce dosi di prodotto inoculate, dosi a cui un essere umano si sottoporrebbe solo se desiderasse morire.
I test cosmetici, che attualmente coinvolgono circa 50.000 animali l’anno (quasi 150 al giorno – fonte LAV), vengono effettuati per fornirci profumi, ciprie, rimmel, rossetti, smalti… Inutile chiedersi se ne vale la pena.
La nuova legislazione nel campo dei test cosmetici introduce tre importanti novità, secondo la visione di Roberta Bartocci, responsabile LAV settore Vivisezione:
- divieto di eseguire su animali test dei prodotti cosmetici finiti, o di commercializzare prodotti cosmetici finiti che abbiano subito test su animali, a partire dall’11 settembre 2004: i test sui prodotti finiti sono facoltativi, eppure molte fra le aziende più grandi hanno deciso di effettuarli ugualmente…
- divieto di eseguire su animali test per materie prime cosmetiche, entro il 2013: il fatto che la cosa sia stata rimandata fin dal 1998, dipendeva dall’assenza di metodi alternativi alla sperimentazione animale. Oggi che i metodi ci sono, è stato dato un limite “di comprensione” che termina nel 2013.
- più rigidità nella possibilità di affermare che il prodotto è “non testato su animali”, dall’11 marzo 2005: non è possibile utilizzare tale dicitura, a meno che non sia possibile garantire che il test non sia stato compiuto nemmeno sugli ingredienti usati per il prodotto finito. Dall’11 marzo nessun prodotto porterà diciture fuorvianti come quelle già menzionate.
Purtroppo però il Decreto non indica se e come le aziende verrebbero controllate. Una mancanza che rischia di castrare in partenza questo progetto di rinnovamento etico.
Ovviamente gli interessi in gioco e le opposizioni a questo progetto sono tante ma non possiamo che sperare per il meglio...